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Con Goliarda, ma non fino in fondo

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Dopo averlo rincorso per settimane – data la rapidità con cui i film d’autore vengono ormai adombrati da quelli di cassetta – qualche giorno fa sono riuscita a vedere Fuori , l’ultimo film di Mario Martone . Il regista decide qui di esplorare alcuni momenti del vissuto di Goliarda Sapienza . A interpretarla è Valeria Golino , che con la scrittrice ha ormai un rapporto intimo e viscerale, consolidato anche dalla regia dell’adattamento del romanzo L’arte della gioia . In un cinema deserto – sei spettatori totali, due dei quali io e il mio ragazzo – mi sono lasciata trasportare dal film e dalle sue dinamiche. Ma se all’inizio l’esperienza mi ha coinvolta, al termine della visione ho dovuto ricredermi: probabilmente, Fuori non mi è piaciuto fino in fondo. È un’opera molto curata, a tratti interessante, ma a mio avviso scivola su un punto cruciale: la profondità e l’autenticità del suo ritratto femminile. Siamo nel 1980. Goliarda sta scrivendo L’arte della gioia , la sua opera più importan...

Non scrivere l'8 marzo per riscrivere l'8 marzo

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Ho passato giorni a pensare cosa scrivere per l'8 marzo. Qualcosa di culturale? Di letterario? Di politico? Alla fine, ho preso una decisione drastica: non ho scritto nulla . Non perché non avessi niente da dire, né perché creda che fare divulgazione in questa data sia sbagliato. Anzi. Proprio perché ritengo fondamentale riflettere e acquisire consapevolezza, e visto che, a causa dello sciopero dei mezzi, non ho potuto manifestare in piazza, ho scelto un altro modo di protestare: il silenzio . Un silenzio che non è disinteresse, ma rifiuto della retorica con cui questa giornata viene raccontata. Perché l’8 marzo, come il 25 novembre, è diventato – o forse lo è sempre stato e i social hanno solo amplificato la cosa – il giorno in cui tutti devono dire qualcosa per forza. Le aziende postano immagini di donne sorridenti accompagnate da slogan motivazionali, i comici e gli attivisti (spesso uomini) realizzano reel pseudo-divertenti per "supportare la causa". Un esempio emblem...

WE LIVE IN TIME: IL TEMPO DELL'AMORE

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Per San Valentino, al cinema, non poteva esserci film più adatto di We Live in Time . Di solito, prima di guardare un film, mi informo un po’, cerco recensioni, curiosità, dettagli sulla produzione. Questa volta, invece, ho deciso di fidarmi solo del trailer, che mi è sembrato promettente. Certo, già dalle prime immagini si percepiva un’aria familiare , con situazioni che ricordano film già visti, ma mi sono detta: “È il film perfetto per San Valentino, vado con il mio ragazzo e basta.” Fin dall’inizio, una cosa è chiara: è una storia che fa piangere , poi ridere e poi ancora piangere. Fa davvero piangere (forse un po’ troppo?), ma credo che il mio coinvolgimento sia stato amplificato da un vissuto personale. La prospettiva che il regista offre sulla malattia, sul cancro, è estremamente realistica e mi ha ricordato i racconti di mia madre sulla chemioterapia, quando mio nonno ha dovuto affrontarla. Da questo punto di vista, il film è toccante, ma la sua forza sta nell’ equilibrio tra ...

#1 - Catarsi

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Il bagno è pronto: abbastanza caldo perché il mio corpo vi trovi la sua attinenza. A piedi nudi, lascio cadere lentamente i vestiti sul pavimento, con la lentezza di chi vuole prolungare il tempo più del dovuto. Il calore sulla pelle è piacevole. Eppure, nel gesto si insinua un’incertezza. Il tempo qui sembra quello sospeso delle analisi del sangue: i vestiti scivolano lungo il corpo senza che io li guardi. A dire il vero, non guardo il mio corpo. Lo sfioro, appena, con fatica. Avere un corpo è un atto difficile. Soprattutto quando il rapporto con esso è un’altalena di amore e odio. Non sono costanti le singole pulsioni, ma è costante la tensione tra le due. Basta un tocco, e i peli delle braccia si drizzano. Brividi. Poi mi ricordo che le braccia sono coperte di peli. E di grasso. Mi sembrano enormi, eppure so che non è così. Eppure le vedo più spesso così, piuttosto che per ciò che sono. Poi mi ricordo che anche il mio corpo è ricoperto di grasso. O di pelle. Fa differenza? Lembi ros...

UNA STANZA TUTTA PER ME

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Estate 2020. Nel bene e nel male, quell’estate mi ha cambiata. Non tanto per il COVID, ma perché è stata la prima volta che mi sono avvicinata a Virginia Woolf . Da quel momento, è iniziata la storia d’amore più intensa e duratura della mia vita (oltre a quella con il mio ragazzo, ovviamente). Parlare di lei, però, non è mai semplice. Non lo è per un motivo particolare: la sindrome dell’impostora. Tutti ne parlano – dai profani agli accademici – e io mi sento sempre perseguitata da una serie di domande: Chi sono io per parlarne? Che diritto ho? Ne so abbastanza? Quest’anno, però, voglio liberarmi di questa voce insistente e fastidiosa. Scrivere di Virginia Woolf è un atto di resistenza, un modo per riflettere su ciò che mi ha insegnato e su quanto sento che lei, con il suo modo di scrivere e di essere, mi abbia salvata. Questo non sarà un saggio critico, né una lezione su di lei. Sarà una riflessione, un rincorrersi di pensieri che non ho voglia di ordinare, perché Woolf stessa mi ...